Nel laboratorio del forcolaio matto, uno degli ultimi remeri di Venezia

[Nella foto in alto: Piero Dri al lavoro nel suo laboratorio di remer. © Ph: P. Dri ]

Pochi mestieri sono tanto emblematici della cultura millenaria di Venezia quanto quelli legati alla navigazione. Quasi tutti questi mestieri sono ormai estinti, resi obsoleti dalle moderne tecniche di produzione, o per la mancanza di un mercato o di qualcuno che volesse portarne avanti la tradizione.
Sopravvivono pochissime eccezioni tra cui i remeri, i costruttori di remi.

Piero Dri fa il remer da circa 15 anni. La spinta a intraprendere il lavoro sulle barche tradizionali l’ha avuta frequentando l’università in terraferma. Lì ha sentito il desiderio di ritornare alla vita veneziana, con i sui elementi e i suoi tempi, e fatta – nel suo caso – di legno che scivola sull’acqua.

Così, Piero ha iniziato a frequentare uno storico remer (la bottega di Paolo Brandolisio, precedentemente di Giuseppe Carli) dove lentamente si è ritagliato un suo spazio, fino a diventare un vero e proprio apprendista. Un percorso di circa sette anni, che l’ha condotto ad aprire il suo laboratorio: “Il Forcolaio Matto”. Sì, perché il remer fa i remi, ma anche le forcole, gli elaborati scalmi usati nella voga alla veneta. Anticamente però le forcole non esistevano e quindi non esiste un nome specifico per chi le fa. «Il termine “forcolaio” l’ho inventato io, però adesso – dice Piero con una nota di orgoglio – lo sento usare abbastanza spesso. Nel mio caso, il forcolaio è “matto” perché ho aperto la bottega durante la crisi economica del 2008, e tutti mi dicevano che ero matto… e invece io ci credevo e, poi, volevo creare un laboratorio “col sorriso” dell’ottimismo verso il futuro. Da qui il nome giocoso e auto-ironico».

Da sinistra a destra: forcola da prua per pupparino, forcola da poppa da sandolo, forcola da prua per sciopón. © Ph. P. Dri.

E forse, dedicarsi a un mestiere così particolare, nella Venezia di oggi, può sembrare un salto nel buio. Ma per Piero non conta solo il rientro economico: «La voga, negli ultimi decenni, specialmente con l’aumento del moto ondoso, ha sofferto tanto. Però – prosegue – ultimamente, molti di quelli che da fuori vengono a vivere qui vogliono inserirsi in quella che è l’autentica vita veneziana e questo sta producendo una leggera “riscoperta” della voga».

A vivere “sul remo” restano solo i gondolieri, che sono certamente la fetta più ampia dei clienti di un remer. Anche perché una forcola, a un privato che la usa saltuariamente, dura anche tutta la vita. Un gondoliere invece, che la usa quotidianamente, con qualsiasi clima, la consuma in quindici anni.

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«E poi c’è il mercato estero. Tutte queste forcole – Piero indica una mezza dozzina di pezzi – vanno in America, in una “società remiera” dove hanno delle barche tradizionali e vogano alla veneta. A dire la verità, ci sono sempre più persone in giro per il mondo che si appassionano alla voga. E c’è chi fa proprio il gondoliere! Negli Stati Uniti, in Sud America, in Europa… e una volta che ti conoscono poi si fidelizzano e ti commissionano quello che gli serve per vogare».

Piero continua a rifinire la forcola su cui sta lavorando con la gestualità di chi sa esattamente quello che fa. Nel suo laboratorio si possono vedere con un solo colpo d’occhio tutti i passaggi del processo produttivo, dalla sezione grezza di un tronco al pezzo finito e pronto all’uso. È un luogo affascinante, d’altri tempi. A metà del ’700 i remeri erano più di 200, oggi se ne contano solo quattro.

Le fasi di produzione di una forcola da poppa per gondola: dal blocco di legno alla forcola finita. © Ph. P. Dri.

Per questo le forcole sono oggetti sempre più rari e preziosi che vengono venduti spesso anche come complementi d’arredo. In fondo, sono vere e proprie sculture, il cui design si tramanda da centinaia di anni. Anche Piero vende molte forcole che non sono destinate a stare su una barca. Pezzi unici, impreziositi da incisioni particolari e ricavati da legni selezionati per la loro particolare bellezza. E gli acquirenti sono in gran parte stranieri: «È ovvio che un’attività come questa, oggi a Venezia, ha bisogno anche del turismo. Soprattutto di quel turismo curioso che si perde per le calli per cercare le cose più particolari. Un remer non può stare in pazza San Marco, ha bisogno di lavorare, produrre… Essere in una posizione defilata ti rende un po’ una “scoperta” per il visitatore della città, che è positivo, ma ti esclude dai circuiti di visita, sempre più consolidati, che non considerano la produzione di forcole tra le attività artistiche della laguna, e questo è un peccato».

Forcola da poppa per pupparino. © Ph. P. Dri.

Fare il remer richiede una notevole esperienza, una eccezionale manualità, procedure precise, conoscenza della voga e naturalmente della materia prima, il legno. Ai tempi della Serenissima, i remeri e i maestri d’ascia andavano direttamente nei boschi a scegliere gli alberi più adatti. Oggi il legno si compra a metro cubo e non c’è più la libertà di scelta.

Per le forcole si usa principalmente il legno di noce, ma non si parla di alberi qualsiasi. In genere hanno almeno 100 anni e per avere il massimo della qualità, magari anche un bel colore o delle venature particolari, devono essere cresciuti in un luogo specifico, su un terreno specifico. Insomma, sono unici, e lavorarli è una responsabilità!

«Sapessi quante volte – dice Piero sorridendo – in segheria mi hanno detto che ero matto perché tagliavo una fetta di un bel tronco, dicendomi che se ci avessi fatto un tavolo avrei guadagnato dieci volte di più che con una forcola… Ma io faccio forcole, e le forcole si fanno così, partendo da un blocco unico, e io e tutti i miei colleghi ci teniamo a continuare a farle in modo tradizionale».

Piero al lavoro nel suo laboratorio. © Ph: Joan Pascual.

Nel suo laboratorio a pochissimi passi dalla Strada Nova, Piero mantiene vivo non solo un mestiere, ma anche l’idea di una Venezia sempre più rara. «La soddisfazione più bella è quella di fare qualcosa che ti fa stare con la coscienza a posto nei confronti della città in cui vivi, grazie alla continuità tra il lavoro che fai e le idee per cui ti batti nel quotidiano. Io, ma anche i miei colleghi, siamo tutti sensibili alle problematiche di Venezia, e con il nostro lavoro pensiamo di creare terreno fertile per incentivare la voglia di vogare e, più in generale, per un certo modo di concepire e vivere la città».

Visitare il Forcolaio Matto, anche solo per ammirare la bellezza delle forcole così plastiche, sinuose, solide e robuste allo stesso tempo, significa fare un viaggio in un tempo che una volta a Venezia era la normalità e che oggi si rischia di perdere.

LA FORCOLA, CAPOLAVORO DI ANTICA TECNOLOGIA E DESIGN

Forcola da poppa per gondola, in legno di ciliegio. © Ph. P. Dri.

La forcola è lo scalmo tipico delle imbarcazioni a remi che solcano la Laguna di Venezia.
Non è un oggetto comune né semplice ed ha forme che possono sembrare strane, ma che sono assolutamente funzionali alla voga.
Ogni curva, incavo, spigolo o inclinazione corrisponde a diverse posizioni di fulcro su cui poggia il remo e serve a produrre una delle manovre eseguibili dall’imbarcazione.
Ogni tipo di barca ha le sue tipologie di forcole, più d’una, a seconda della collocazione del vogatore, e ogni forcola è realizzata su misura per adattarsi alla corporatura del proprietario.

PIERO DRI – IL FORCOLAIO MATTO
Ramo dell’Oca, Cannaregio 4231
Tel. e fax: +39 041 8778823
info@ilforcolaiomatto.it
www.ilforcolaiomatto.it

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